venerdì 16 novembre 2018

La via spagnola per uscire dalla crisi


Da alcuni mesi in Spagna esiste un governo a guida socialista che non ha (almeno formalmente) una maggioranza parlamentare.
L'assemblea legislativa infatti conta 350 deputati ed il governo guidato da Pedro Sanchéz (un monocolore PSOE) può contare su 84 deputati (dunque molti meno della maggioranza assoluta).
Il governo è nato a seguito della presentazione di una mozione di sfiducia costruttiva che ha sfiduciato il precedente governo Rajoy e, contestualmente, eletto il nuovo esecutivo.
Parallelamente il governo Sanchéz gode di un appoggio esterno di altri 96 deputati (tra i quali Podemos) per un totale di 180 parlamentari sufficienti quindi a governare.
E ciò è abbastanza normale.
Un sistema parlamentare associato all'istituto della sfiducia costruttiva (esattamente come nel nostro Consiglio regionale) prevede la possibilità che governi di minoranza possano esistere.
E se il governo di minoranza ha bisogno di una maggioranza per nascere (come in Spagna la mozione di sfiducia è stata votata da Podemos che però si limita oggi ad un appoggio esterno) non ne ha bisogno per proseguire la sua attività. Sarà ovviamente indispensabile in questi casi che il governo di minoranza, sprovvisto anche di appoggi esterni, si presenti laicamente in parlamento (o in consiglio regionale) per concordare di volta in volta con le opposizioni (che ovviamente non possono avere un atteggiamento meramente ostruzionistico, altrimenti si attrezzino per una mozione di sfiducia costruttiva) il contenuto delle leggi da approvare.
Esattamente ciò che può succedere nel Consiglio regionale dove Lega, Mouv' ed eventualmente PNV possono continuare a governare avendo ovviamente l'obbligo di concordare con le minoranze le leggi da approvare, prima tra tutte la finanziaria. La crisi può dunque essere facilmente risolta nella prossima adunanza prendendo atto delle dimissioni di due assessori e assumendo l'interim degli stessi in Capo al Presidente della Regione, oppure concordando con gli altri partiti nuovi assessori e procedendo all'elezione di un nuovo ufficio di presidenza evidentemente il più neutro possibile e comunque slegato dalle dinamiche politiche contingenti.
Perché dunque il governo di minoranza in Spagna funziona e da noi no?
Semplicemente perché gli spagnoli fanno politica.

venerdì 27 luglio 2018

Per una riforma di sistema della Regione Autonoma Valle d'Aosta



Nel post precedente ho esposto la mia idea di riforma elettorale nell'ottica di migliorare l'attuale sistema di elezione dei consiglieri regionali, rendendolo più aperto e competitivo al fine di elevare il livello della classe politica valdostana.

Ma la Riforma della nostra Regione passa anche e soprattutto attraverso una revisione più profonda e una prospettiva diametralmente opposta rispetto a quella attuale.

La premessa non può che passare attraverso un cambiamento radicale di impostazione del modello “Valle d’Aosta”. Alla crisi economica dalla quale fatichiamo ad uscire si aggiunge una profonda crisi politica che si traduce in una instabilità politico-istituzionale. Tutto ciò ci impedisce di tracciare una via chiara per il futuro della nostra Regione.

La prima domanda da porsi è: cosa vuole essere la Regione? E solo successivamente: dove vuole andare?

La Regione dovrebbe essere un ente legislativo (che appunto legifera nelle materie di propria competenza cercando di disegnare una visione coerente e lungimirante attraverso un’azione legislativa consequenziale) e un ente programmatore (un ente cioè che programma a medio e lungo periodo). La gestione, invece, (ad eccezione della sanità che è l’unica e tipica funzione gestionale in capo alle Regioni) dovrebbe essere attribuita ai livelli inferiori (Unités des Communes e Comuni) in base al principio della sussidiarietà verticale e/o ai privati laddove le condizioni lo consentano e lo stesso sia più efficiente rispetto al pubblico secondo un principio di sussidiarietà orizzontale.

Dal punto di vista istituzionale quindi va recuperato un modello più snello con la riduzione dei consiglieri regionali a 25 e non più di 5 membri del Governo.
Ciò consente di rendere l’organo di rappresentanza regionale più veloce nell'assumere decisioni.
Va inoltre recuperata una dimensione territoriale di rappresentanza che oggi manca attraverso un sistema maggioritario di collegio.
L’elezione del Presidente potrebbe rimanere di competenza del consiglio regionale e l’attuale presenza dell’istituto della “mozione costruttiva” dovrebbe aiutare a stabilizzare il sistema.

Nulla vieta, peraltro, di iniziare ad immaginare anche un sistema che preveda l'elezione diretta del Presidente della Regione e/o (come già proposto in passato) l'elezione diretta dell'organo esecutivo.

Oltre all'aspetto istituzionale va contemporaneamente ripensato il sistema finanziario, non solo chiudendo il contenzioso ancora aperto con lo Stato ma rovesciando l’attuale paradigma.
Oggi infatti la Regione, grazie al riparto fiscale e agli ultimi accordi finanziari trattiene praticamente la totalità delle entrate (i famosi 10/10 del riparto fiscale) ma lo fa attraverso il meccanismo della compartecipazione ai tributi erariali (il cittadino paga le tasse allo Stato il quale riversa ciò che è stato riscosso sul nostro territorio alla Regione). Lo Stato quindi detiene la potestà di riscossione e quella di stabilire le aliquote delle tasse potendo alzarle ed abbassarle.

Tale impostazione è poco “federale” essendo l’ente Regione completamente deresponsabilizzato rispetto alle tasse che pagano i cittadini soprattutto perché manca un luogo di raccordo tra il centro e le periferie (la Camera delle Autonomie che la recente Riforma Costituzionale aveva tentato di introdurre) dove si possono concordare le politiche fiscali.
La Valle d'Aosta dovrebbe quindi chiedere allo stato la competenza in tema di riscossione di tutte le tasse o imposte sul proprio territorio, concordando di volta il concorso alla finanza pubblica. Le tasse verrebbero quindi riscosse sul posto e poi verrebbe trasferito a Roma ciò che è concordato in tema di risanamento delle finanze pubbliche.
Conseguentemente dovrebbe ottenere dallo Stato la potestà di incidere sulle aliquote o sulle detrazioni (in particolare IRPEF e IVA) magari inizialmente attraverso un meccanismo di condivisione delle scelte per arrivare gradualmente ad una autonomia impositiva più spinta.
La possibilità di riscossione autonoma, oltre a responsabilizzare l’ente accertatore, determina una maggiore certezza delle entrate di fondamentale importanza nella predisposizione del bilancio e un controllo più capillare per limitare l’evasione fiscale.

Siccome gli enti locali dovrebbero gestire tutti i servizi (ad iniziare da quelli alla persona), potrebbe avere senso che l’Irpef venga riscossa dagli enti locali (Unités des Communes e Comune di Aosta) per la gestione dei servizi di dimensione sovracomunale (servizi sociali e trasporto pubblico locale in particolare) e trovati meccanismi di perequazione orizzontali tra gli enti locali.
D'altronde già oggi la finanza locale è finanziata dal 95% del gettito IRPEF (poco meno di 400 milioni di euro).

Con questa impostazione l'ente erogatore del servizio (Unités des Communes) sarebbe anche l'ente che riscuote le tasse secondo un principio federale molto chiaro: pago, vedo, voto.

Infine, nella definizione dei rapporti finanziari tra Stato e Regione deve trovare soluzione il problema dell’extra gettito IMU. Sono circa 32 milioni di euro per il complesso degli enti locali valdostani che vengono riscossi dai nostri comuni e trasferiti allo Stato. Tali somme, se trattenute in loco consentirebbero di ridurre realmente le tasse (per esempio l'IMU sulle strutture ricettive).

L’anello finale di questa riforma istituzionale sono i comuni che dovrebbero essere accorpati perché troppo piccoli e inefficienti partendo dal presupposto che la legge 6/2014 sulle funzioni associate non ha prodotto efficienza e economie di scala.

Ne avevo già parlato qui e qui a cui rimando. Il tema però non può più essere rinviato.

La vicina Svizzera ha adottato soluzioni simili con un mix di imposizioni e agevolazioni per le comunità che si fondono. Si possono quindi adottare soluzioni simili tenendo conto della morfologia della nostra Regione. Di fondamentale importanza è l'accorpamento dei comuni in una medesima vallata con il comune di fondovalle che funge da "coordinatore" e "capofila" e diversi "sportelli del polifunzionali" sul territorio che consentano di mantenere un contatto con le singole realtà.

Una soluzione complementare alla fusione è il potenziamento delle Unités.

Nell'ottica della riscossione autonoma le Unités ed il Comune di Aosta dovrebbero riscuotere l’Irpef da utilizzare per la gestione dei servizi associati e di una serie di servizi che invece oggi gestisce la Regione (come il Trasporto Pubblico Locale).
Le Unités dovrebbero quindi cambiare la modalità di scelta della governance: ci vuole un coinvolgimento maggiore dei consigli comunali e una legittimazione più ampia del Presidente:
  • Bisogna tornare ad una governance composta da Consiglio, Giunta e Presidente per una maggiore collegialità e condivisione;
  • Il Presidente dovrebbe essere eletto a maggioranza tra tutti i consiglieri e i sindaci dei comuni della singola Unité (con una elezione di secondo grado);
  • Si dovrebbe prevedere che il consiglio delle Unités sia composto da consiglieri comunali in proporzione alla popolazione;
  • Nel caso di mancata elezione con il 50% dei voti si procede al ballottaggio tra i due più votati;
  • Il Presidente nomina la Giunta esecutiva
Le Unités (o i comuni più grandi nel caso si optasse per la fusione) quindi avrebbero una legittimazione politica (seppure di secondo grado) che oggi manca essendo gestita unicamente dal consiglio dei sindaci. Inoltre riscuoterebbero l’Irpef e quindi avrebbe una legittimazione anche e soprattutto finanziaria che oggi non hanno.

Alle Unités, oltre alle funzioni già esercitate oggi, si dovrebbero aggiungere tutte quelle funzioni e servizi che esercitano i comuni e – nel resto d’Italia – le Province e la gestione dovrebbe avvenire per gradi a seconda della complessità, partendo dal comune, passando alla Unité per arrivare alle gestioni associate tra Unités o al Celva in quanto soggetto aggregatore dei comuni.
Tale modello istituzionale potrebbe esser sufficientemente modulabile per gestire i servizi locali secondo dimensioni anche diverse tra di loro. Ad esempio i servizi sociali possono essere gestiti anche tramite associazione di due Unités laddove serva, mentre altri servizi possono essere gestiti con bacini di utenza differenziata.

In particolare il Trasporto Pubblico Locale, nella Plaine di Aosta, non può che essere gestito attraverso il Conseil de la Plaine coincidendo con il bacino attualmente in essere del trasporto locale. Peraltro ciò potrebbe generare interazioni positive con la gestione dei parcheggi e delle piste ciclabili (e in generale della mobilità). Infatti sulla piana di Aosta – dove la mobilità è il problema principale – si potrebbe gestire unitariamente il Trasporto Pubblico Locale, parcheggi e la mobilità ciclabile per il tramite di A.P.S. S.r.l. (società in house del Comune di Aosta) che potrebbe diventare una società “multi servizi” di tutti i comuni della Plaine con partecipazione dei comuni proporzionale alla popolazione residente.

Per concludere serve una visione riformatrice della Valle d'Aosta e serve avere coraggio. La crisi che stiamo attraversando impone soluzioni forti per il rilancio, anche politico, della nostra Petite Patrie.
Serve un radicalismo riformatore che si contrapponga ai sovranisti e populisti che stanno (s)governando solo a suon di "spot" e "fake news".

Serve un grande coinvolgimento di forze popolari, riformiste e progressiste.

#LesMontagnards

domenica 15 luglio 2018

Per una riforma elettorale maggioritaria

Siamo all'inizio della consiliatura regionale ma il tema centrale sembra tornato ad essere la legge elettorale anche perché l'esito delle ultime elezioni non paiono aver consegnato un quadro politico chiaro.
Il sistema attuale, prevalentemente proporzionale, ha fatto venir meno le coalizioni o gli accordi ante elezione per lasciare spazio invece alle trattative post voto con tutte le conseguenze negative del caso. Manca infatti una chiara visione tra schieramenti e/o partiti (o movimenti) che possano dirsi alternativi e che possano quindi proporre visioni alternative ed in competizione tra loro da sottoporre al voto popolare.

Se dunque si apre un dibattito credo sia corretto analizzare anche proposte alternative ai sistemi proporzionali (con o meno il premio di maggioranza) e immaginare di abbracciare convintamente un sistema di tipo maggioritario che possa superare il problema della segretezza del voto, la necessità di un rinnovamento nella classe dirigente, una maggior qualità degli eletti e un peso maggiore del candidato a scapito degli apparati di partito.

Per ottenere questi obiettivi credo sia indispensabile e ormai non più rinviabile scegliere un sistema elettorale con i collegi uninominali. In poche parole: il territorio regionale viene suddiviso in 35 collegi all'interno dei quali viene eletto un solo consigliere regionale.

Tale sistema si compone poi di alcune varianti: un sistema prettamente inglese (vince chi arriva prima, anche con un solo voto in più rispetto al secondo classificato), un sistema francese (che prevede il ballottaggio tra coloro che hanno ottenuto almeno il 12,5% dei voti validi espressi ma non il 50% subito) e un sistema misto come in Australia dove nei collegi l'elettore vota non solo per il candidato preferito ma esprime anche una seconda scelta. Tale sistema consente quindi di "anticipare" in un unico turno (riducendo quindi le spese per il turno di ballottaggio) prendendo in considerazione innanzitutto le "prime preferenze" e solo qualora nessuno dei candidati abbia raggiunto il 50% dei voti si procede a conteggiare le "seconde preferenze".

La preferenza secca all'inglese (che noi conosciamo bene perché è lo stesso sistema che utilizziamo per l'elezione del nostro Deputato e del nostro Senatore) ha forse il difetto di distorcere eccessivamente la rappresentanza perché (come è già successo anche di recente) si può essere eletti con il 24/25% e gli altri voti vanno persi. La mia preferenza dunque va per gli altri due sistemi anche se indubbiamente quello inglese semplifica notevolmente il quadro politico.

Ecco, in sintesi, i vantaggi:
1) si recupera il collegio della comunità Walser che quindi ha il suo consigliere regionale;
2) si avvicina l'eletto con il suo collegio di elezione;
3) si aumenta il peso del singolo candidato a discapito degli apparati di partito;
4) si raggiunge la segretezza del voto senza necessariamente riproporre lo spoglio centralizzato (che qualche problema lo ha creato);
5) si stimola all'interno del collegio una competizione tra i candidati e si alza il livello degli stessi (ogni partito o movimento è spinto a mettere il miglio candidato perché sarà lui a far conseguire il risultato);
6) in teoria si può uniformare il sistema elettorale per i due parlamentari valdostani e per il Consiglio regionale.


L'ipotesi che ho realizzato è appunto solamente un esercizio di stile. Le linee guida alle quali mi sono attenuto sono: 1) il mantenimento dei confini comunali; 2) l'accorpamento di comuni facenti parte della medesima Unité des Communes perché ormai hanno una storia quasi quarantennale di collaborazione all'interno delle ex Comunità Montane; 3) l'accorpamento di comuni limitrofi; 4) l'accorpamento ove possibile per vallate; 5) il collegio dei Walser.

Ovviamente si possono trovare altri modi di suddivisione e, senza rispettare fedelmente i confini delle Unités, è probabilmente possibile ottenere collegi più uniformi dal punto di vista degli abitanti.
Ne derivano 24 collegi sul territorio da un minimo di 1 ad un massimo di 9 comuni per collegio e da un minimo di 2000 abitanti ad un massimo di 5000 abitanti circa per collegio. Residuano 11 collegi su Aosta della grandezza media di 3200 abitanti (qui poi bisognerebbe trovare ulteriori criteri di suddivisione). E' probabilmente possibile recuperare ancora uno o due collegi sul territorio a scapito del Capoluogo ma questi sono dettagli che possono essere facilmente risolti in quanto elementi secondari.

Tale soluzione consentirebbe di avere una maggior distribuzione dei seggi sul territorio e un migliore e più efficace collegamento tra eletto ed elettore.


venerdì 17 novembre 2017

#AostaSicura


Ieri abbiamo finalmente presentato il progetto di videosorveglianza che, al termine del secondo lotto di investimenti, il Comune di Aosta ha realizzato con l'ausilio della società INVA S.p.a.
Un investimento importante per aumentare la sicurezza dei cittadini e dei turisti che frequentano la nostra città. Perché una città sicura è una città più vivibile e più attraente.
Grazie alla preziosa collaborazione degli ingegneri di INVA abbiamo costruito un network federato con la messa in rete di 114 telecamere sul territorio comunale, tutte collegate in fibra ottica su di un sistema nuovo e performante. Un cloud federato che potrà essere aumentato con nuove telecamere immediatamente visibili a tutti coloro che accederanno al network (non solo quindi la Polizia locale ma, potenzialmente, tutte le forze dell'ordine o coloro che ne dovessero aver bisogno). Un base di partenza per una città più sicura. Un investimento che ci permette di recuperare anche gli investimenti fatti nel passato in una logica di condivisione, maggiore fruibilità e scalabilità.


Ecco una presentazione che ne illustra le caratteristiche salienti.






sabato 11 novembre 2017

Un petchu pleisì

“Un petchu pleisì, ni fauta d’un petchu pleisì...”

Forse si può riassumere in questa frase, ormai di uso comune, il degrado morale in cui si trova oggi la nostra “Petite Patrie”.
La crisi della nostra economia ha radici profonde. Nasce agli inizi degli anni ‘80 con il riparto fiscale: una crescita economica paragonabile alle regioni europee più evolute tutta incentrata però sulla spesa pubblica. Non sono io (non ne ho le competenze) a dover dare un giudizio storico sul trentennio 1980/2010 che corrisponde grosso modo anche ai miei primi trent’anni di vita, però una riflessione è doverosa in questo momento. 
A fronte di un riparto fiscale che finalmente riconosce in maniera più stabile e compiuta la nostra autonomia corrisponde una crescita economica e di benessere che probabilmente non ha eguali in Italia e, forse, anche in Europa. E non si può non riconoscere come gli interventi messi in campo dalla politica in questo periodo storico ci abbiano regalato un diffuso benessere, un welfare capillare ed invidiato, un sistema sanitario d’eccellenza, un’agricoltura di qualità, una difesa puntuale del territorio, un turismo in grado di competere con rinomate località internazionali, una trasformazione industriale che ha permesso di mantenere un livello occupazionale elevato, un sistema di istruzione attento al nostro particolarismo linguistico e alla tutela delle piccole, anche piccolissime scuole di villaggio... e così via. Potrei continuare l’elenco di eccellenze che hanno trasformato questa piccola regione di montagna, prevalentemente agricola e rurale, in una moderna località turistica che ha saputo costruire livelli di benessere diffusi ed elevati.

Parallelamente, però, è cresciuta una cultura della richiesta del contributo, dell’aiuto pubblico di cui tutti ne hanno potenzialmente beneficiato ... Dall’imprenditore che ha usufruito del contributo a fondo perduto al comune cittadino con i “buoni benzina” o “il contributo per i tetti in losa” e allo studente universitario con i ticket dei treni o il contributo sull’affitto. Anche qui gli esempi si sprecano ma l’esito è lo stesso: in questi ultimi trent’anni è cresciuto il benessere, sono cresciuti i servizi, è aumentata la capacità di spesa dei valdostani ma si è purtroppo anche imposta una cultura dell’assistenzialismo, che ha ucciso lo spirito d’iniziativa dei privati.
Il benessere diffuso può essere offerto a livello regionale e spesato con soldi pubblici, perché affannarsi per cercarlo?
Perché correre un rischio d’impresa se poi qualcuno, in qualche modo, darà un contributo sotto qualche forma?
Perché impegnarsi a realizzare una manifestazione turistica per promuovere la propria località se tanto ci pensa la “Pro-loco” con i contributi del Comune?

Con il passare del tempo, con il mutare delle condizioni economiche e con la crescita incessante disoccupazione e della povertà, il piccolo piacere cambia. Da richiesta assistenziale si trasforma in richiesta di qualcosa che non è previsto dalla legge: mi cerchi un posto di lavoro? Mi dai una mano? Mi aiuti ad entrare al Casinò o nella Forestale? Mi dai una casa popolare? 
E qual è l’emblema di ciò?
“Me fu feei un soito ba eun Veulla dermase mateun” ... “ni fauta d’un petchu pleisì”... Far un salto in città il martedì mattina, per chiedere un piacere...

Forse è una banalizzazione, o un’esagerazione. Ma fino ad un certo punto. Il diffuso benessere che abbiamo ottenuto senza troppi sforzi ha fatto crescere talmente tanto la cultura del contributo, del piccolo piacere, dell’aiutino che è diventata normalità quella che doveva essere eccezione, e alla lunga ha fatto pensare al cittadino che la prassi per ottenere il desiderato fosse rivolgersi al politico di turno, e al politico che il suo dovere fosse dare questo aiuto. Una distorsione totale del senso del pubblico e del privato.

Ed intanto dal 2010 ad oggi che succede? Semplicemente il bilancio regionale passa da quasi 2 miliardi a poco meno di 1... e tutto il sistema inizia pian piano a franare, e la cultura del piccolo piacere non può più salvare né bastare. 
Il risultato è quello che leggiamo in questi giorni sui giornali e sui vari siti d’informazione. Per carità, la presunzione di innocenza vale per tutti, a maggior ragione in casi tanto delicati, ma il quadro che ne emerge è quanto meno indegno. 

Qualcuno  l’ha chiamata “Cuomolandia”, a me ricorda molto  il Signor Wolf di Pulp Fiction: 
“Tu sei Jimmy, giusto? È casa tua?”
“Sì proprio così”
“Sono il signor Wolf, risolvo problemi”
“Ah, bene ne abbiamo uno”
“Me l’hanno detto. Posso accomodarmi?”
“Ah si prego, entri”.



La ricostruzione dei fatti accaduti ci restituisce una fotografia nella quale “il piccolo (se così possiamo chiamarlo) piacere” assurge ad elemento centrale, e segna il degrado massimo della nostra società.
Se ciò corrisponde (almeno in parte) al vero, il problema dal punto di vista politico non è più l’alleanza con il partito A o il movimento B. Il problema è più complesso e ramificato.
Ha ragione Stefano Sergi su La Stampa nell’editoriale della pagina della Valle di oggi: è una resa incondizionata diffusa perché parte dal basso, perché interroga tutti e coinvolge tutti.



Due sono le semplificazioni a cui non voglio cedere: di qui i disonesti, di là gli onesti, che mi pare semplifichi troppo il dibattito che si sta sviluppando in queste ore in Valle. Le alleanze si fanno sulla base dei programmi non in base alle simpatie o antipatie personali. E le alleanze si fanno  con i partiti o movimenti politici, non con le singole persone che pro tempore li rappresentano.
L’altra semplificazione, ancor più grande, è la purtroppo tanto diffusa idea che tutti sono corrotti, tutti sono disonesti. In questo scenario invece, va ribadito con forza, che la responsabilità penale è personale, ciascuno risponde delle proprie azioni o omissioni, e non si può infangare un intero partito per accuse, anche pesanti, dirette ad alcuni suoi membri di spicco. 

Per me l’impegno politico è pro tempore, presuppone onestà e comporta sacrifici e tempi lungi di preparazione e studio per essere all’altezza del compito, mentre L’improvvisazione è l’anticamera del populismo.
Credo che si possa uscire da questo sistema ormai al tracollo solo con un lungo percorso di educazione civica e selezionando politicamente le persone per bene, le persone oneste, ovunque esse si collochino, per cercare di riaffermare con forza il binomio politica/rettitudine morale, elevare il dibattito, affrontare efficacemente i problemi, e riacquistare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.


Io, nel mio piccolo, inizio già ora: domenica 19 novembre, alle primarie del PD della Valle D’Aosta vado a votare una giovane donna, che si è formata nella scuola di partito e attraverso il volontariato sul territorio, un volto nuovo per una politica bella, fatta di competenza e di passione, unica via d’uscita che ci è rimasta.
Forza Sara Timpano!